Ci ho messo dieci anni per capire una cosa semplice.
Nel ’99 non c’era ancora l’euro. Avevo in tasca le lire, e la testa piena di idee. Torino, Firenze, Amburgo, Monaco,Amsterdam, Milano, Bassano del Grappa, Asiago, Marostica, Schio… ho vissuto e respirato quei posti. Badge al collo, lavori che ti fanno correre dall’alba a sera, monolocali che chiamavi “casa” ma erano quattro mura fredde con una finestra. E la sensazione che dovessi sempre rincorrere qualcosa che non arrivava mai.
Poi la vita mi ha riportato indietro. A Castelbuono.
Era luglio, le notti profumavano di zagara. Alzai lo sguardo verso le montagne e vidi una scena che non dimenticherò mai: centinaia di luci sparse, non lampioni, ma le case di campagna accese dalla gente tornata in villeggiatura. Ogni famiglia, ogni finestra illuminata, disegnava un firmamento terrestre sulle Madonie. Uno spettacolo indescrivibile.
E lì ho capito: dopo dieci anni di ricerca, il posto più bello non era lontano. Era sempre stato qui.
A Milano puoi pure guadagnare 2.000 €. Ma scappi dietro al tempo.
A Castelbuono magari non li vedi quei soldi, ma hai la libertà di respirare. Qui non compri un caffè, lo condividi: al bar non sei un cliente, sei “Mirco”. Il barista sa già cosa prendi, e se un giorno ti scordi i soldi, ti dice: “fa niente, la prossima volta”. Questo è l’usofrutto vero della vita di paese: fiducia, tempo, rapporti che non devi giustificare.
La qualità della vita non si conta in euro, ma in momenti che non hanno prezzo:
un pranzo improvvisato con la nonna che prepara la peperonata perché “le melanzane erano belli”,
un bagno al tramonto, un abbraccio che non hai dovuto prenotare,
una passeggiata in paese con le luci che disegnano le montagne come un presepe estivo.
Io ho girato, ho provato, ho inseguito.
Ma alla fine l’ho capito: il posto più bello è qui, a Castelbuono.
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