Mia nonna cucinava sempre buono… ma buono vero, di quello ke ti resta addosso come un profumo ke nn se ne va.
In casa sua ogni giorno sapeva d’olio d’oliva fatto con le olive della loro campagna, di cipolla soffritta e pane caldo appena sfornato.
Le polpette di uova friggevano lente nella padedda nera, i pomodori secchi ripieni profumavano d’estate anche in pieno inverno.
La pasta incatasciata era un rito, con quel sugo denso ke si attaccava al cucchiaio, e la caponata dolceamara borbottava piano sul fuoco.
Le conserve — bottiglie, barattoli e vasetti — erano schierate sugli scaffali come tesori, perché in casa sua nn si buttava niente.
Una sera, di quelle ke la stanchezza si legge negli occhi, mia nonna Giuseppina — la Puppineddra di mio nonno — mise davanti a lui una frittata di uova bruciata.
Le uova venivano dal loro pollaio, raccolte la mattina presto, e quella frittata era stata cotta sulla vecchia cucina economica a legna, quella ke riscaldava tutta la casa e ke venne tolta solo nel 1995.
Quella stufa ha riscaldato pure la mia infanzia.
Mia madre lavorava tutto il giorno, e io, dopo la scuola, stavo con i miei nonni: erano loro a prendersi cura di me.
Quella cucina nn era solo un posto dove si mangiava… era il cuore di tutto.
La frittata era nera ai bordi, dura, sembrava carbone.
Io mi fermai… zittu.
Da picciriddu certe scene ti restano addosso.
Aspettavo la reazione. E invece lui, Nto — così la chiamava lei — si mise a tavola comu si nenti fussi.
Tagliò quella frittata con le sue mani grosse, abituate alla terra, si versò un bicchiere del suo vino — quello fatto con l’uva della sua vigna — e mi guardò con quel sorriso furbo e buono:
«Mircunuuu… comu passasti a jurnata?»
Mia nonna, tutta ‘mpacciata, abbassò lo sguardo e disse piano:
«Nto… mi vinni ‘n pocu male a frittata…»
E lui, con quella calma ke solo certi uomini hanno, rispose:
«Puppineddra… a mia mi piaci a to frittata.»
Più tardi, con la curiosità dei bambini, gliel’ho chiesto: “Nonno… ma era bruciata davvero…”
E lui, mettendomi u vrazzu supra a spadda, mi disse:
«Mircunuuu… a to Puppineddra s’ha scassatu tuttu u jornu… ‘na frittata brusciata nun fa mali a nuddu… ma ‘na parola storta ti pò rumpiri u cori.»
(Traduzione: “Mircunooo… la tua Puppineddra si è spaccata la schiena tutto il giorno… una frittata bruciata non fa male a nessuno… ma una parola storta può spezzare il cuore.”)
Mio nonno Antonio aveva 8 figli: 7 masculi e ‘na fimmina, la prima, mia madre.
Eppure, in casa sua, le vere regine erano loro: le donne.
Era l’epoca du “patriarcatu”, sì… ma lui, Nto, era un patriarca vero: nn col pugno, ma con la testa e col cuore.
Ogni lira ke portava a casa finiva nelle mani della sua Puppineddra.
Era lei ke amministrava tutto con cervellu e saggezza, e lui si fidava ciecamente.
Lui pensava alla terra, alla vigna, al vino ke la sera beveva seduto a tavola con lei accanto e i figli intorno.
E nell’aria di casa sua restava l’odore dell’olio buono, delle polpette di uova, dei pomodori secchi, della caponata e di quella frittata bruciata cucinata sulla stufa a legna ke ha scaldato la mia infanzia.
Io oggi darei un grammo — uno solo — della morale di mastro Nto x potergli somigliare almeno un poco.
Perché era un uomo d’onore, di quelli veri: devoto, premuroso, saldo come la vigna ke coltivava.
Un marito ke sapeva ke amare nn significa comandare… ma esserci. Sempre.
👁️ © Mirco@77
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