FOIE GRAS: L’IPOCRISIA ITALIANA TRA DIVIETI, TORTURA E PIATTI GOURMET

Pubblicato il 25 ottobre 2025 alle ore 17:53

In Italia, produrre foie gras è vietato. Ma venderlo? Ah no, quello va bene. Lo trovi bello impacchettato negli scaffali, luccicante come se fosse oro. Questa è la solita ipocrisia all’italiana: da una parte si fa la faccia pulita, dall’altra si spalanca la porta d’ingresso. Vietiamo la produzione, così sembriamo “etici”, ma poi importiamo quello fatto altrove. Così la coscienza resta linda e il piatto resta pieno. Bravi.

 

La verità è ke il foie gras nasce da una pratica ke si chiama gavage. Tradotto: alimentazione forzata. Un tubo infilato giù per la gola di un’oca o di un’anatra, due o tre volte al giorno, x settimane. Nn è una favoletta, è un tubo di metallo lungo anche 30 cm, spinto giù nella trachea. L’animale nn può scegliere, nn può fermarsi, nn può respirare bene. Il fegato si gonfia a dismisura, 6-10 volte la sua dimensione normale, finché diventa una palla grassa da spalmare su un crostino. Altro ke “prelibatezza”. Questo è maltrattamento certificato, documentato da decine di rapporti veterinari e scientifici. E no, nn è un’opinione: è un fatto.

 

In Europa, 22 Paesi hanno vietato questa roba. Ma poi c’è Francia, la paladina del foie gras, ke lo difende come “patrimonio culturale”. Cioè, come se torturare animali fosse un pezzo di storia da proteggere con orgoglio. È la stessa logica di ki ti dice “si è sempre fatto così”, come se il passato fosse una scusa x nn evolversi. Ma una tradizione, se nasce dalla sofferenza, nn è cultura: è crudeltà ben incartata.

 

E qui entra in gioco il nostro bel paradosso italiano. Nn lo produciamo più, ma lo importiamo da ki lo produce con quei metodi. E lo vendiamo nei ristoranti “di classe” come se fosse una leccornia x palati fini. Alcuni supermercati hanno smesso di proporlo — x fortuna — ma intanto le frontiere restano spalancate. Quindi lo stesso prodotto vietato da noi x ragioni etiche… lo mangiamo se arriva da fuori. Complimenti, applausi a scena aperta.

 

Lo volete sapere qual è la parte più marcia di tutta questa storia? Ke poi ci lamentiamo delle istituzioni. “Devono vietarlo”. Sì, certo. Ma intanto ki lo compra? Xché se nessuno lo comprasse, quella roba resterebbe a marcire nei magazzini. Il consumatore nn è spettatore, è complice. Ogni vasetto di foie gras venduto è un tubo infilato nella gola di un’oca. Punto.

 

C’è ki lo chiama “sapori della tradizione”. Io lo kiamo tortura mascherata da gastronomia. Tradizione è un pane appena sfornato, un olio spremuto, un formaggio stagionato con pazienza. Tortura è un animale immobilizzato, costretto a ingoiare finché il fegato esplode. Ma questa parte del “gusto” si evita di raccontarla nei menu stellati.

 

E allora ditemelo voi: se vietiamo la produzione ma continuiamo a vendere, ke cazzo stiamo facendo davvero? Etica o facciata? Ci piace far finta di essere puliti mentre ci lecchiamo le dita sporche.

 

Alla fine, resta una domanda secca: siamo davvero contrari al maltrattamento… o solo quando succede lontano da casa nostra?

 

👁️ © Mirco@77

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