
Ieri sera, a casa, ho fatto una cosa che mi fa riflettere. Riccardo era agitato. Non faceva scenate, ma si vedeva che cercava qualcosa: un gioco, uno sguardo, forse solo il mio tempo.E io? Gli ho dato il telefono. Un cartone animato, e via. “Così si tranquillizza”, mi sono detto. Poi ho continuato a sistemare, a parlare con Ivana, a fare le cose di ogni sera. Quelle che ti fanno sentire produttivo… ma assente. A un certo punto l’ho visto. Seduto a terra. Fermo. Gli occhi ipnotizzati dallo schermo. Un bambino di tre anni. In silenzio. E lì ho capito che non gli stavo dando un momento di serenità. Gli stavo togliendo un pezzo di mondo. Perché lo facciamo? Per stanchezza, per abitudine, per comodità? Forse tutte queste cose insieme. Ma la verità è che ogni volta che metto uno schermo davanti a mio figlio, gli tolgo qualcosa che non tornerà. Il dito di Riccardo dovrebbe toccare la vita: le briciole sul pavimento, il pelo del cane, la crosta del pane.Non un vetro liscio. Non sono un padre distratto. Ma a volte sono un padre esausto. E l’esausto prende scorciatoie. Ma le scorciatoie con i figli spesso portano lontano da loro. Lo scrivo per ricordarmelo. Perché la prossima volta, prima di cercare il telefono, possa cercare lui. E trovargli il mondo, non un cartone.
© Mirco@77
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