
FLOTILLA: UN PEZZO DI STOFFA CHE SFIDA UN BLOCCO DI FERRO
La “Global Sumud Flotilla”, parte della Freedom Flotilla Coalition, nasce con un obiettivo dichiarato: rompere simbolicamente e materialmente il blocco imposto su Gaza da Israele dal 2007. Nn è la prima volta. Già nel 2010, con la vicenda della Mavi Marmara, il tema è esploso a livello mondiale: un’operazione di intercettazione israeliana in acque internazionali, con un bilancio di 10 attivisti morti e decine di feriti, ha acceso una controversia ancora oggi irrisolta tra diritto internazionale e sicurezza nazionale.
Gli argomenti a favore della Flotilla:
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Imperativo umanitario: Gaza vive una crisi strutturale. Secondo dati ONU, oltre l’80% della popolazione dipende da aiuti esterni; elettricità e acqua potabile sono intermittenti e la libertà di movimento è gravemente limitata. X gli attivisti, l’azione diretta diventa un gesto necessario quando i canali istituzionali si mostrano insufficienti.
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Libertà di navigazione: La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare tutela il passaggio in acque internazionali. Le navi della Flotilla rivendicano un viaggio pacifico e illecita viene considerata ogni intercettazione al di fuori delle acque territoriali.
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Il blocco come violazione: Alcuni esperti giuridici e rapporti ONU hanno qualificato il blocco di Gaza come una punizione collettiva che colpisce indiscriminatamente civili, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.
Gli argomenti contro la Flotilla:
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Sicurezza nazionale: Israele sostiene che il blocco è misura di autodifesa legittima, motivata dal controllo delle forniture militari a Gaza e dal rischio di traffico di armi verso gruppi armati come Hamas.
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Legalità del blocco: Secondo l’argomento israeliano, un blocco navale può essere legittimo in tempo di conflitto armato, purché notificato e applicato in modo uniforme. La Commissione Palmer (ONU, 2011) ha infatti riconosciuto la legalità del blocco in termini strettamente militari, pur criticando la forza sproporzionata usata nella Mavi Marmara.
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Canali istituzionali: L’ingresso di aiuti è già regolato tramite valichi terrestri sotto controllo internazionale e delle Nazioni Unite. Le autorità israeliane e altri governi sostengono che bypassare questi canali significa trasformare un’iniziativa umanitaria in un atto politico, rischiando di aumentare la tensione anziché alleviare le sofferenze.
Il nodo rimane: dove finisce il diritto alla sicurezza e dove inizia quello alla sopravvivenza umana? La Flotilla si muove proprio dentro questo confine incandescente, trasformando un viaggio in mare in un processo pubblico alla coscienza del mondo.
Un pezzo di stoffa issato su una barca, in mezzo al mare, può sembrare niente. Ma quel niente diventa pugno nello stomaco quando pensi ke a Gaza la gente vive col fiato corto, con la luce ke salta e l’acqua ke nn scorre. Mentre noi guardiamo, comodi, le onde le fanno loro. Le onde di un assedio ke dura da anni.
C’è ki dice: “È solo provocazione politica”. Io rispondo: se un bambino muore disidratato, se una madre partorisce senza anestesia, allora la politica è già fallita. E il silenzio complice pesa quanto le bombe.
C’è un ipocrisia enorme: l’Europa firma accordi miliardari con ki vende armi e poi si commuove davanti alle barchette con le vele bianche. Gli stessi governi ke parlano di “valori universali” sono quelli ke chiudono gli occhi mentre interi popoli annaspano.
Siamo diventati spettatori anestetizzati: vediamo corpi affogare, e intanto scorriamo col dito sullo schermo come se fosse un videogioco.
La Flotilla nn porta solo sacchi di farina. Porta una domanda: quanto vale la coerenza? Vale più un confine militare o la dignità di ki vive sotto blocco? Vale di più la paura di un razzo o la certezza di migliaia di bambini senza futuro?
E allora sì, un pezzo di stoffa in mare aperto serve. Serve a ricordarci ke nn siamo macchine, ke il cuore dovrebbe battere anche x ki nn conosciamo. Serve a dire ke il dialogo nn è un optional, ma l’unico varco possibile in questo muro di ferro e sabbia.
Ki oggi si scandalizza della Flotilla dovrebbe chiedersi se domani potrà ancora guardarsi allo specchio. Perché nn è questione di “scegliere una parte”, ma di decidere se la nostra coscienza vale più di un comunicato stampa.
E io chiudo così: meno retorica, più coerenza. Nn serve l’applauso, serve il coraggio di dire le cose come stanno. Perché il mare, a volte, ci restituisce i corpi. Ma sempre, prima o poi, ci restituisce la verità.
👁️ © Mirco@77
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